Durante le ultime settimane di agosto, come al solito quando non si ha di ché riempire i giornali, è esploso per l'ennessima volta un dibattito che alla lunga sta diventando più vecchio di chi lo anima: la letteratura italiana è morta, il romanzo italiano è morto; dopo Levi, Moravia, Pasolini, Morante, Calvino, Volponi (e chi più ne ha più ne metta) il panorama culturale e intellettuale italiano è andato allo sfacelo. Quindi in pratica da più di 30/40 anni brancoliamo nel buio.
Questa è la tesi che hanno sostenuto in modo diverso, ma simile, due scrittori e critici: Franco Cordelli, dalle colonne de Il Fatto quotidiano (ironia mode on: questo giornale sembra proprio avercela a morte con la cultura umanistica, oh!) e Pier Vincenzo Mengaldo dalle colonne de Il Corriere della Sera.
Tipico esempio di dialogo tra vecchie e nuove generazioni della critica. (Jonathan Wolstenholme) |
L'assunto di base da cui i due partono è perfettamente condivisibile: la cultura, in particolare quella umanistica, sembra non avere più spazio nella nostra società ; la cultura, come ogni altra cosa nel nostro dilagante neoliberismo, è diventata merce da vendere e svendere ad ogni costo; gli intellettuali (colpa di tutto questo) non hanno più un incisivo potere sulla società , la loro voce viene tuttalpiù ascoltata da pochi addetti ai lavori; non esistono più editori-protagonisti come furono ai loro tempi Valentino Bompiani, Livio Garzanti, Giulio Einaudi, Giangiacomo Feltrinelli, Arnlondo Mondadori, Elvira Sellerio, ma esistono soltanto editori-imprenditori. Se ci pensiamo bene non sono affermazioni nuove, visto che più di quarant'anni fa le sosteneva Pier Paolo Pasolini. Ma così è, e non c'è via d'uscita, ad ascoltare i due critici.
Ma davvero le cose sono messe tanto male?
Io, che non sono una persona assolutamente ottimista, si badi, credo proprio di no.
Come al solito credo che la critica del nostro paese tenda a vivere in un arroccamento antiproduttivo, in base al quale esiste un canone sacro di cultura (che ovviamente appartiene al passato) che non si ripeterà mai più. Esiste solo un'interpretazione unilaterale del concetto di cultura, e tutto il resto appartiene alla massa, ergo non è cultura. Trovo davvero sorprendente che nel 2015 si debba ragionare ancora in termini di canone, quando già più di dieci anni fa un grande intellettuale come Edward Said tuonava così dalle pagine di Umanesimo e critica democratica:
Non appena si prende in considerazione la presenza storica delle discipline umanistiche si incontrano [...] due posizioni in continua lotta tra di loro. Una interpreta il passato come una storia fondamentalmente compiuta, l'altra vede la storia, e il passato stesso, come irrisolta, ancora in formazione, aperta alla presenza e alle sfide di ciò che emerge via via e risulta ancora inesplorato, degno di attenzione. Forse esiste come dicono alcuni un canone occidentale, fossilizzato e compiuto in se stesso, davanti al quale dovremmo inchinarci. Forse esiste un passato simile, forse dovremmo venerarlo. La gente sembra amare queste cose. Io no.
È in virtù di parole come queste che mi sembra che Cordelli e Mengaldo siano i tipici dinosauri di ruolo da università , inchiodati alla loro poltrona e a una concezione della critica e della letteratura quasi crociana. Solo così si spiega la totale non curanza di fenomeni letterari e culturali di grandissimo spessore. Qualche esempio? Nicola Lagioia, Giorgio Vasta, Christian Raimo, Roberto Saviano, Giorgio Fontana, Paolo di Paolo, il collettivo Wu Ming e potrei continuare, tornando anche indietro di qualche generazione.
Non solo loro sono degli intellettuali sempre pronti a intervenire nel dibattito, ma sono degli scrittori che, insieme a molti altri, hanno contribuito alla trasformazione e alla definizione del romanzo italiano negli ultimi quindici anni. E il fatto che alcuni di loro abbiano avuto un certo successo di pubblico è davvero da considerare come una pecca? È vero, il mondo editoriale è costellato di scrittori-non-scrittori (e in qualche caso anche non lettori), ma si può per questo fare della cultura di massa un unico fascio da disprezzare?
E si può davvero disprezzare del tutto il ruolo di Internet, uno degli strumenti di parola più democratici che la nostra società possiede? Non molto tempo fa Gianluca Nicoletti, in risposta al ben noto pensiero di Umberto Eco, affermava che «non si produce pensiero nella cultura digitale se non si accetta di stare gomito a gomito con il lato imbecille della forza». E allora io affermo che non si produce letteratura nella nostra società se non si accetta di stare gomito a gomito con il lato imbecille del mercato culturale ed editoriale.
E si può davvero disprezzare del tutto il ruolo di Internet, uno degli strumenti di parola più democratici che la nostra società possiede? Non molto tempo fa Gianluca Nicoletti, in risposta al ben noto pensiero di Umberto Eco, affermava che «non si produce pensiero nella cultura digitale se non si accetta di stare gomito a gomito con il lato imbecille della forza». E allora io affermo che non si produce letteratura nella nostra società se non si accetta di stare gomito a gomito con il lato imbecille del mercato culturale ed editoriale.
Quello che adesso gli intellettuali e gli scrittori dovrebbero fare dunque è coltivare dal basso, in rapporto con la massa, la cultura e la letteratura. Educare la società italiana al romanzo di qualità . Perché il romanzo oggi è vivo più che mai, è metamorfico più che mai; a ucciderlo sono le dichiarazioni di chi dall'alto del proprio scranno lo dichiara già morto, senza rendersi conto che se il mondo cambia la letteratura deve inseguirlo per comprenderlo e soltanto dopo, eventualmente, guidarlo.
Escher - Metamorphosis I |