In quanto percipiente da più di quattro mesi un assegno di disoccupazione Naspi, sono entrata (per fortuna o purtroppo) a far parte di un programma di sperimentazione chiamato assegno di ricollocazione, nato insieme al famigerato Jobs Act.
In sostanza si tratta di un programma volto a facilitare il reinserimento lavorativo, grazie ad un bonus associato al futuro lavoratore, che in misura maggiore o minore, sarà percepito dal possibile datore di lavoro al momento di un contratto. Come tutto in questo Paese, si tratta di un programma che ha le sue tappe burocratiche più o meno arzigogolate. La prima di queste è stata appunto un incontro conoscitivo con un'agenzia per il lavoro che mi ha richiesto di portare con me il curriculum.
In sostanza si tratta di un programma volto a facilitare il reinserimento lavorativo, grazie ad un bonus associato al futuro lavoratore, che in misura maggiore o minore, sarà percepito dal possibile datore di lavoro al momento di un contratto. Come tutto in questo Paese, si tratta di un programma che ha le sue tappe burocratiche più o meno arzigogolate. La prima di queste è stata appunto un incontro conoscitivo con un'agenzia per il lavoro che mi ha richiesto di portare con me il curriculum.
Dovete sapere che il mio è un curriculum non molto ricco di esperienze lavorative, le quali sono state tutte collaterali a ciò che è stata la cosa più importante della mia vita: la mia formazione. Entrambe le lauree, i corsi di formazione, le esperienze di scrittura ufficiali fuori e dentro l'università , i titoli delle mie tesi di laurea ed i relativi relatori, gli attestati linguistici ed informatici. Anni di studio «matto e disperatissimo», giusto per essere poco melodrammatici.
È quello il vero cuore del mio curriculum. Loro rappresentano la mia vita. E perché no, anche la mia conoscenza del mercato editoriale italiano, le collaborazioni in forma di volontariato con le associazioni e le fiere locali. Infine ovviamente il mio blog. Sono ciò di cui vado più fiera. Non quella mezza paginetta rosicata di lavori fatti tra un esame e l'altro all'università . Soprattutto perché per ovvie ragioni quei lavori non comprendono gli anni di lezioni e ripetizioni private fatte a numerosi ragazzi, mio cruccio e mio piacere che continuo quotidianamente, e con tutta l'abnegazione possibile, a portare avanti. Ho amato quei momenti, anche i più ridicoli, e ho amato il rapporto instaurato con molti di loro.
Tuttavia mi è stato detto che il mio curriculum è troppo prolisso, di eliminare le informazioni accessorie. Che poi accessorie mica tanto: mi hanno fatto eliminare la laurea triennale, le tesi, le collaborazioni di scrittura, risparmiando soltanto il blog, se non altro per i suoi risvolti in termini di social network. Quello che invece ho dovuto sviluppare sono tutte le mansioni possibili e immaginabili relative ai lavori che ho fatto e che non intendo tornare a fare in futuro, forte e orgogliosa anche di ciò che ho ottenuto da un punto di vista formativo negli anni. Dunque ho dovuto rendere più presentabile una parte di me che non mi presenta per niente.
È chiaro che ogni curriculum debba essere calibrato in termini relativi al datore di lavoro che si ha davanti, ma in definitiva questa versione standard di esso che mi è stata fatta realizzare esprime soltanto in minima parte la ricchezza che sento di avere dentro: ricchezza che passa principalmente dai miei studi e dalla mia formazione.
Ecco allora che arriva la crisi. Non sono certo una persona che ha una visione utilitaristica della conoscenza e della cultura, ma non posso fare a meno di chiedermi: a cosa sono serviti tutti quegli anni e quegli sforzi se poi con un tratto di penna è tutto cancellabile? Perché nessuno sembra capire quanto essi siano per me importanti? Cosa c'è di sbagliato in me se non ho saputo trasformare tutti i miei studi, tutte le mie letture, tutte le mie conoscenze in qualcosa di concreto da un punto di vista lavorativo? Perché trascorro le mie giornate a leggere quando potrei, che so, dedicarmi al volantinaggio? Ed ecco che ritorna il mio studio matto e disperatissimo: disperatissimo non più per l'impegno che ha comportato, ma per il peso che a posteriori porta con sé nella mia mancata realizzazione.
Qualcuno potrebbe dirmi che non ci ho nemmeno provato: ho avuto troppa paura per tentare il dottorato, ho sentito troppa stanchezza per iniziare un master che non mi interessava, ho deciso di rimanere nella mia terra storicamente povera di opportunità , ho solo coltivato il mio misero orticello, in attesa che forse, un giorno, il Ministero dell'Istruzione decida cosa farne di quello che per me sarebbe davvero un traguardo: insegnare stabilmente. È questo ciò che amo fare, ma soprattutto è questo ciò che so fare. Non ho tentato seriamente né l'editoria, né il giornalismo, né la biblioteconomia, sapendo quanto impervie fossero queste strade e quanto poche fossero la mia convinzione ed attitudine. Probabilmente è vero che navigo troppo nella mia comfort zone.
Certo è che ad un medico momentaneamente privo di lavoro non chiederebbero di cancellare la propria laurea da un curriculum, né ad uno psicologo, o ad un architetto, o ad un avvocato. Sì, ok, compare pur sempre la magistrale sul mio, ma mi sento come se avessero amputato un braccio ad un corpo, o meglio ad una testa, che apparentemente a 27 anni ha pochissimo da offrire.