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Come ho incontrato un premio Nobel - Lectio magistralis di Mario Vargas Llosa

by - 08:48

Ogni tanto la mia città, di solito così povera di grandi eventi culturali, riserva delle bellissime sorprese: una di queste è avvenuta giusto ieri pomeriggio quando lo scrittore Mario Vargas Llosa, premio Nobel per la letteratura nel 2010, ha ricevuto da parte dell'Università degli studi di Palermo una laurea ad honorem in Lingue e letterature dell'Occidente e dell'Oriente.
Prima di addentrarci nel resoconto di quanto è avvenuto ieri pomeriggio nella bellissima Aula Magna di Palazzo Steri a Palermo, ripercorrerò, in maniera veloce, la figura davvero magistrale di uno dei più grandi scrittori in lingua spagnola del nostro secolo.

Nato nel 1936 ad Arequipa, in Perù, Mario Vargas Llosa inzia la sua attività di scrittore nel 1958, dopo essersi trasferito a Parigi, allora uno dei centri nevralgici della cultura internazionale, diventando un vero e proprio intellettuale militante al seguito del grandissimo filosofo francesce Jean Paul Sartre. Il vero successo giunge per lui nel 1963, dopo aver pubblicato La città e i cani, romanzo che gli garantisce l'attenzione della critica di tutto il mondo ma anche una forte diffidenza da parte dei quadri politici e militari della sua nazione. Agli inizi della sua carriera infatti la scrittura di Llosa ha una matrice fortemente politicizzata, concependo impegno letterario e impegno politico come un tutt'uno. 
Da allora tutti i suoi libri avranno una eco internazionale: La Casa verde, Conversazione nella "Catedral", Pantaleòn e le visitatrici, La zia Julia e lo scribacchino, La guerra della fine del mondo, Storia di Mayta, sono solo alcuni tra i suoi capolavori.
Il suo è un realismo che trae le radici dalla realtà latinoamericana delle sue origini, ma che si mescola a forti suggestioni maggiormente europee (tutt'ora lo scrittore ha la cittadinanza spagnola e risiede a Londra), allontanandosi così dai toni del realismo magico tanto diffusi tra i suoi conterranei in quegli anni, per aderire a una visione più truce del reale. Nel 2010 riceve il premio Nobel per la letteratura, divenendo il primo scrittore peruviano ad ottenere questo riconoscimento.

Capirete dunque i motivi che mi hanno spinto ieri ad assistere alla sua lectio magistralis dal titolo Riflessioni di uno scrittore
, nonostante le seguenti condizioni: una temperatura esterna pari a 33 C° e un'umidità pari al 200% alle 18:00; i 70 km che mi distanziavano da Palermo appena mezz'ora prima dell'inizio dell'evento; il traffico palermitano (avete presente quando in Jhonny Stecchino si dice che la principale piaga di Palermo è il traffico? Ecco) per arrivare nella zona più caotica della città in un orario di rientro come quello.

La cerimonia è avvenuta in un contesto davvero suggestivo, ovvero l'Aula Magna di Palazzo Chiaramonte Steri, il cui soffitto è decorato da meravigliosi dipinti del 1300 sul soffitto di legno a cassettoni; in pratica io non sapevo se guardare prima davanti a me o sopra di me. Ovviamente tutti (rettore, docenti) erano in super tiro, e udite udite, c'era anche l'aria condizionata e all'ingresso delle sorte di buttafuori che manco in discoteca si trovano. La sala era stracolma, anche di moltissimi giovani, il che mi fa ben sperare; il cortile esterno in cui era stato installato un maxi schermo era gremito, e tutti ascoltavano in rigoroso silenzio nonostante le condizioni climatiche di cui sopra. Insomma, roba che non si vede tutti i giorni, almeno non dalle mie parti. E mi riempe di gioia l'idea che la mia città abbia abbracciato così calorosamente Mario Vargas Llosa.
Sorvolerò sulla parte noiosa della cerimonia (comprensiva anche di spot pubblicitario sull'Unipa) e passerò dunque al bellissimo discorso dell'autore, durato ben 40 minuti e tenuto interamente in lingua italiana. Vogliate perdonarmi se il mio resoconto è privo di citazioni, ma in mezzo alla confusione di cui vi ho detto, avevo persino dimenticato a casa l'agenda, per cui ho dovuto scrivere tutto con il mio scomodissimo cellulare. Molte delle parole che uso sono state pronunciate però dallo srittore stesso, non le segnalo come citazioni onde evitare ogni possibile errore.

Tre sono gli interrogativi principali cui lo scrittore peruviano ha tentato di rispondere, secondo la propria personalissima (e mirabilissima aggiungerei) esperienza, ammettendo, forse anche provacatoriamente, di esserseli più volte posti lui stesso: 

Prima edizione italiana,
Feltrinelli 1967.
Perché si scrive letteratura?  Una domanda tanto scontata da non esser quasi mai posta, soprattutto da chi non legge, e purtroppo sempre più spesso, da chi scrive. 
Secondo Vargas Llosa scrivere è allo stesso tempo un'attività esaltante e dolorosa che deriva da una precisa vocazione, dalla necessità e dall'urgenza dello scrivere stesso. E questo deriva principalmente dal fatto che il mondo reale non basta all'uomo: esso non placa i nostri appetiti e i nostri sogni. Esiste pertanto una sostanziale incompatibilità tra chi scrive e il mondo, l'insoddisfazione è alla base di tutti i più grandi autori delle letterature di tutti i tempi. 
Sull'importanza della vocazione letteraria in particolar modo lo scrittore è tornato parecchie volte, chiarendo anche le interessantissime circostanze della nascita della sua: punto di partenza fondamentale è stata la lettura, che lui definsce come l'esperienza più importante della sua intera vita. Da bambino lo emozionava l'idea di diventare protagonista di fatti straordinari, di vivere più vite; e proprio per proseguire queste emozioni il suo primo contatto con la scrittura fu dato dal mettere su carta il proseguio o le variazioni di quelle storie che non avrebbe mai voluto far finire. Eppure di possedere una vocazione non si rese conto coscientemente fino al 1958, quando una volta conclusa l'università ha capito di avere il coraggio di proseguire quella strada così eccentrica, e soprattutto il coraggio di dedicare il proprio impegno assoluto alla letteratura. Perché, per Mario Vargas Llosa, il genere di letteratura che nasce da un esercizio temporaneo è povera, non ha nulla da donare: lui non sarebbe mai stato un intellettuale della domenica. Da allora ha deciso che non avrebbe mai dedicato la maggior parte del suo tempo a lavori extra letterari. 
Ed ecco che nasce la natura militante e onnicomprensiva della sua scrittura.

Come si scrive un romanzo?  Qui il discorso si fa più particolareggiato, in risposta alle principali domande dei futuri ansiosi scrittori: «Da dove prende i temi?», «Come procede una volta scelto il tema?», «È disordinato o ispirato?», e così via.
Quello che ammette lo scrittore peruviano è che elemento base della sua scrittura è il fatto che non sceglie mai i suoi temi, ma piuttosto si fa scegliere da loro. Scrive di determinate cose perché ha avuto determinate esperienze, anche se esse hanno giocato un ruolo davvero marginale nella sua vita. I ricordi, le sensazioni, spesso tornano da lontano e inasppetatamente nella sua memoria, creando un embrione di storia che solo in un secondo momento capisce essere il primo passo di un romanzo: secondo le sue testuali parole le esperienze gli donano lo scheletro di una storia, e lui, scrittore, deve solo fabbricarne la spina dorsale.
Questo è quello che ad esempio è successo nel caso del romanzo breve I cuccioli: molti mesi prima l'autore aveva difatti letto sul giornale il resoconto di un incidente in cui un cane aveva morso in viso un neonato, sfigurandolo; da lì Vargas Llosa ha iniziato il suo viaggio fantastico, ragionando attorno alla vita, e in particolare all'adolescenza che il neonato avrebbe un giorno avuto, e unendolo all'ispirazione che lo spingeva ad ambientare un racconto in un quartiere di Lima, città in cui ha vissuto per molto tempo. Ecco così che I cuccioli narra le vicende di un gruppo di adolescenti, ruotanti intorno al quartiere di Miraflores, ed ecco che il protagonista Cuellar, subisce un giorno il morso di un cane sul viso e le alienanti conseguenze che ciò ha sulla sua vita di giovane uomo.
Quando Vargas Llosa scrive una vicenda, essa in realtà è già in movimento da tanto tempo, e aspetta solo di colpire i meandri della sua vocazione. A poco a poco la storia finisce per cannibalizzare lo scrittore, nutrendosi di altri ricordi, di altre sensazioni, rendendolo uno strumento della storia stessa, in ogni sua manifestazione e in ogni sua attività. E se qualcuno gli propone un tema, lui lo scarta, ammette con una certa soddisfazione. 

Illustrazione di Jonathan Wolstenholme
L'autore peruviano pertanto sembra sovvertire tutte le regole di narratologia e di scrittura che insegnanti e teorici tanto raccomandano. Tanto che a un certo punto afferma che esiste un solo modo per scrivere bene: il modo più persuasivo di tutti. Ma capire come ottenerlo dipende interamente dallo scrittore, e non è cosa che possa avvenire in maniera razionale: soltanto attraverso la continua correzione di se stessi, attraverso le continue riscritture e distruzioni si può ottenere questo obbiettivo. Per questo Vargas Llosa si definisce non uno scrittore, ma uno riscrittore; e ammira chi questo processo di cesellamento e miglioramento riesce a farlo a livello del tutto inconscio, come il suo grande collega e amico Julio Cortazar.
Ma soprattutto, concetto fondamentale che ogni futuro scrittore deve fare proprio è l'idea che nel campo della letteratura l'autore agisce non soltanto con le idee, ma anche con i lati più oscuri del suo subconscio. Pertanto ci saranno sempre lati della propria scrittura che soltanto i lettori potranno comprendere e di cui l'autore deve accettare l'interpretazione. Questo è ad esempio quanto accade per il suo primo romanzo La città e i cani dove il misterioso assissinio del personaggio chiamato Lo Schiavo è oggi da tutti i lettori attribuita, per tutta una serie di motivazioni psicologiche, al tremendo Il Giaguaro: colpevolezza che l'inventiva di Vargas Llosa non ha mai preso in considerazione, durante la stesura del romanzo stesso; egli aveva volutamente lasciato la vicenda nell'indeterminatezza, non sapendo come sbrogliare la difficile matassa della  vicenda.
Il piano del lettore e quello dello scrittore non potranno mai coincidere. Ma da questo deriva uno degli incontri più belli della letteratura.

Mario Vargas Llosa durante
il firma copie.
A cosa serve la letteratura? A questo punto lo scrittore peruviano si addentra nei ricordi della sua giovinezza parigina, nell'epoca dell'esistenzialismo e del dominio intellettuale di Jean Paul Sartre. Per quella generazione era chiarissimo lo scopo della letteratura: essa non può eludere il tempo storico, è azione, e le parole atti. La letteratura non può che essere militante e politicizzata. Era un'idea in cui tutti credevano, ma che la Storia (e la Letteratura stessa) ben presto tradì. 
E oggi, al di là di ogni contingenza storia o politica, a cosa può servire la letteratura? Ancora, nonostante tutto Vargas Llosa ha le idee ben chiare: la letteratura è una indispensabile e perenne fonte di insoddisfazione per l'uomo, e per la sua essenza sociale, il suo essere cittadino. La letteratura crea uomini più infelici, ma anche, per questo, più liberi perché anticonformisti. Per questo la letteratura nonostante tutto continua ad essere militante: milita silenziosamente nel costruire la coscienza, l'identità e l'essenza dell'uomo. Ben poche, secondo lo scrittore, sono le arti che possano competere con la letteratura da questo punto di vista: il cinema e le arti sceniche ad esempio, nonostante la passione che egli stesso nutre per esse, non riescono egualmente a sensibilizzare l'uomo sulle mancanze della realtà, spingendolo a volere per se stesso più di quando il mondo attualmente gli offre. E non potrei essere più d'accordo.
Questo non vuol dire che l'autore disprezzi il puro l'intrattenimento che può derivare da un'opera letteraria: purché esso non sia effimeramente ripiegato soltanto su se stesso. 


Di dissertazioni di laurea così se ne sentono ben poche: entrare nell'officina di un autore tanto consapevole, eppure allo stesso tempo tanto umile nell'ammettere le proprie mancanze (straordinario quando ha fatto il confronto tra la propria tecnica scrittoria tanto lenta e travagliata e quella lapidariamente geniale di Cortazar), è stato, al di là di ogni retorica, un'esperienza unica. «Un viaggio straordinario nella sala parto della letteratura», l'ha definita il rettore Roberto Lagalla, e per una volta sono d'accordo con lui.

E io sono pure riuscita a sopravvivere a quella mattanza culturale nota come firma copie, ottenendo un autografo sul bellissimo volumetto scritto a quattro mani da Mario Vargas Llosa e Claudio Magris, La letteratura è la mia vendetta. 







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7 commenti

  1. Splendido resoconto di un incontro che dev'essere stato altrettanto favoloso. Non ho mai letto nulla di Vargas Llosa, ma la sua filosofia, così come la presenta e ce la presenti, mi incuriosisce, anche perché non credo siano molti gli scrittori disposti a riflettere così attentamente sulla pratica letteraria... ma forse è questo che distingue un premio Nobel dai tanti autori.

    Ps. La smania dell'autocorrezione non mi manca, lavorerò sul resto! ;)

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    1. Verissimo, come dico all'interno dell'articolo mi ha davvero stupito l'umiltà nemmeno troppo nascosta dietro il suo discorso: avrebbe potuto svendere ricette per il successo letterario facili e universali, mostrare e dimostrare tutta la sua infallibile bravura, e invece ha legato tutto all'emotività, al subconscio, all'irrazionale, all'indeterminatezza, alle parti più difficili da afferrare di sé che uno scrittore deve coltivare.
      E tranquilla che da quello che leggo sei davvero sulla buona strada :)

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  2. Bello questo tuo resoconto (felice di sapere che sei siciliana, la Sicilia è in parte terra delle mie origini). Che eleganza trapela da questo straordinario uomo del Novecento letterario. Non ho letto mai niente di suo, non ancora. C'è qualcosa che ti senti di consigliarmi? Qualcosa che definiresti "imperdibile".

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  3. Lieta che ti sia piaciuto :) E si, decisamente ciò che lo rende un grande scrittore è anche il suo modo di porsi nei confronti della letteratura e del proprio mestiere. Tra i suoi libri ,come imperdibile, ti consiglio sicuramente l'opera prima La città e i cani che contiene un po' tutti i motivi principali della sua scrittura: la politicizzazione, il crudo realismo e la tecnica di narrazione multiprospettica (per i tempi grande novità). Su un segno leggermente opposto, nel senso che si tratta di un libro interamente basato sulla parodia e l'ironia ti consiglio anche Pantaleon e le visitatrici, in cui le tematiche fondamentali della scrittura di Vargas Llosa sono sempre presenti ma in un'ottica abbastanza deformata. Ne hanno tratto anche un film qualche anno fa. Fammi sapere se e cosa sceglierai di leggere! A presto :)

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  4. Ciao, è un articolo davvero interessante, davvero un ottimo resoconto. Hai un bellissimo blog, lo terrò d'occhio :) un saluto e a presto, Ilsie

    www.animadellestorie.blogspot.it

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  5. Grazie mille! Sono davvero felice che ti piaccia il mio piccolo spazio :) A presto

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