Oggi, dunque, avrebbe compiuto cento anni. Un anniversario non da poco, se pensiamo all'importanza che la Ginzburg ha rivestito nel panorama culturale italiano del secondo Novecento. Premio Strega nel 1963 con Lessico famigliare, autrice di numerosi romanzi e racconti acclamati da pubblico e critica, attivamente impegnata nel mondo giornalistico e politico, membro essenziale della squadra di Giulio Einaudi nei suoi più fulgidi albori, intellettuale, donna, madre, combattente contro ogni ideologia fascista. Eppure ho l'impressione che, a parte qualche evento (soprattutto nella Torino che la ospitò per tanti anni), questo anniversario stia passando piuttosto inosservato, soprattutto nel mercato editoriale. Poteva essere un'ottima occasione per promuovere studi critici, biografie, o addirittura scritti inediti di questa straordinaria scrittrice, no? Invece quasi tutto tace.
In ogni caso, io il mio piccolo omaggio voglio riservarglielo, e lo farò soprattutto attraverso le parole di uno tra i suoi romanzi certamente più riuscito e sentito: Lessico famigliare, una biografia, se vogliamo, della famiglia di Natalia e di una precisa epoca, quella a cavallo tra gli anni '20 e l'immediato secondo dopo guerra, grazie anche allo strumento più vivo degli esseri umani, il linguaggio, il lessico che ci caratterizza e le memorie che esso si porta dietro.
Dicevamo che Natalia Ginzburg nacque a Palermo nel 1916. Il padre era Giuseppe Levi, uno scienziato e intellettuale ebreo-triestino, la madre Lidia Tanzi lombarda e cattolica. Due personalità tanto singolari, quanto per certi versi opposte e complementari l'un l'altra:
Le cose che mio padre apprezzava e stimava erano: il socialismo; l'Inghilterra; i romanzi di Zola; la fondazione Rockefeller; la montagna e le guide della Val D'Aosta. Le cose che mia madre amava erano: il socialismo; le poesie di Paul Verlaine; la musica e, in particolare, il Lohengrin, che usava cantare per noi la sera dopo cena. [pp.21-22]La vocazione antifascista è molto forte in casa, tra tutti i membri della famiglia, forse tanto quanto la vocazione ad una pacifica litigiosità e alla dialettica:
Quanto alla politica, si facevano in casa nostra discussioni feroci, che finivano con sfuriate, tovaglioli buttati all'aria e porte sbattute con tanta violenza da far rintronare la casa. Erano i primi anni del fascismo. Perché discutessero con tanta ferocia, mio padre e i miei fratelli, non so spiegarmelo, dato che, come io penso, eran tutti contro il fascismo; l'ho chiesto ai miei fratelli in tempi recenti, ma nessuno me l'ha saputo chiarire. [p.35]