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Riina Family Life

by - 17:37


Capaci, scritta che campeggia sulla casina dalla quale fu azionato
il telecomando che provocò la strage del 23 maggio 1992, nella quale
persero la vita il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e
gli uomini della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro.
Ho letto tanto in questi giorni a proposito della bufera esplosa sul caso di Salvatore Riina. E certamente, volenti o nolenti, lo avrete fatto anche voi. Cosa è necessario aggiungere? Forse ben poco. Forse soltanto la testimonianza di chi quotidianamente vive a contatto con la realtà che più di tutte è finita per essere destinataria dell'intervista e dei contenuti del libro.
Io vivo a Palermo da quando sono nata. Da qualche mese vivo nella tristemente nota via D'Amelio, scenario dell'uccisione di Paolo Borsellino nel 1992. Quasi tutti i giorni trovo sotto casa gruppi di studenti e scolaresche riuniti intorno all'albero della legalità. Saluto sempre con gioia iniziative (il 90% delle quali parte dal basso, dai cittadini) di riqualificazione e recupero di certe aree della mia città più "a rischio", come piace definirle eufemisticamente a qualcuno. Mi piace ogni anno partecipare anche a ciò di realmente autentico che è rimasto nella giornata della legalità del 23 maggio. Mi piace ascoltare le parole di Pino Maniaci. La mia famiglia è interamente composta da commercianti, piccoli commercianti, che in realtà non si sono mai scontrati con la realtà del racket o delle intimidazioni, ma che comunque fanno parte di una rete che sa cosa significa e come difendersi.

Certo, tutto il mondo è paese ormai. La linea della palma come diceva anni fa Sciascia si è spostata. La mafia, la criminalità organizzata in generale, è ormai fatto globale, che da tempo ha spostato i suoi interessi economici e politici al di là del Sud Italia (con buona pace di quei leghisti che ancora non se ne capacitano). La mafia ormai ha abbondantemente conquistato anche l'antimafia (e anche qui, sarebbe interessante riprendere le parole del sempre profetico Sciascia a proposito dei cosiddetti professionisti dell'antimafia).

Ma esistono precise realtà in cui l'ideologia e la cultura mafiosa sono endemiche e connaturate all'esistenza di un territorio. Sono quelle zone d'ombra di cui tutti, dallo Stato ai cittadini "per bene", cerchiamo di rimuovere l'esistenza: borgate, quartieri, famiglie, individui, il cui unico senso di appartenenza e di identità è dato da questa precisa mentalità, che alle volte travalica anche la reale appartenenza all'uno o all'altro clan. Dominio, sopraffazione, prepotenza, intolleranza, presunto idealismo cattolico: shakerate con saggezza tutti questi elementi, aggiungetevi la totale assenza di incisive e capaci istituzioni, un pizzico di disinteresse generale e otterrete la magia.

La magia che ad esempio fa sì che accadano episodi del genere: da uno scontro tra un gruppo di giovani immigrati, che vivono e studiano nella mia città, e un "branco" di palermitani assettati di desiderio di affermazione e dominio su un territorio proverbialmente difficile quale il quartiere di Ballarò, si arriva alla sparatoria, al colpo scagliato contro chi ha osato ribellarsi alle intimidazioni. Yusupha Susso, il giovane cambiano ferito alla testa, è rimasto in coma farmacologico per diversi giorni; il suo carnefice Emanuele Rubino è stato arrestato. Ma questo non prima di portare avanti la sua meravigliosa passerella sotto gli occhi di tutti, in un sabato pomeriggio all'interno di una delle arterie commerciali più importanti di Palermo, con la pistola in bella vista. 
Quante motivazioni razziali stanno dietro a questo gesto? Ben poche. Con ogni probabilità se esse stavano alla base del principio della schermaglia, si sono poi dissolte del tutto nel momento decisivo: quando cioè un "estraneo" ha osato reagire di fronte al gruppo che ha nel quartiere di Ballarò e nelle sue zone limitrofe la propria pretesa di dominio, da imporre a tutti e ad ogni costo. È un pregiudicato Emanuele Rubino, e non è stato reso noto se appartenesse o meno a qualche clan, ma in fondo importa davvero? Le sue azioni rimangono comunque un evidente caso di ideologia e cultura mafiosa introiettata, definita e applicata.

Ora, provate a far germogliare su un terreno del genere un elemento come il libro, e ancora peggio, l'apparizione di televisiva di Salvatore Riina.
Provate a far germogliare su un terreno del genere l'esposizione mediatica di una faccia così apparentemente innocua come la sua (e diciamoci la verità, anche un po' da fesso) pronta a declamare il suo ruolo da bravo figliolo a cui non spetta giudicare le azioni del padre, perché il padre va sempre onorato e rispettato come dice il quarto comandamento (o il codice deontologico di una certa mafia della vecchia guardia? Non lo ricordo mai); una faccia pronta a declamare l'esistenza di un Totò Riina che molti non avrebbero mai immaginato, quella di un padre affettuoso e presente; una faccia che punta a stimolare quel senso di appartenenza tra pari (pari in quanto esseri umani) che un sentimento così comune come l'amore filiale può suscitare. 
Provate a far germogliare tutto questo su quelle zone d'ombra di cui vi ho parlato prima, e ditemi un po' cosa vi aspettate che possa crescerne. Quelle zone d'ombra che già per altro vedono in Totò Riina o in chi come lui svolge egregiamente il suo ruolo, un padre simbolico, un capostipite. 
A dare ulteriore legittimazione di tutto ciò (come se già certe realtà non si autolegittimassero abbondantemente da sole) è servito il siparietto dell'altra sera. 

Non è servito certamente a far conoscere il "male", a dar cognizione di causa a spettatori e lettori, non ha aggiunto nulla al discorso della mafia e dell'antimafia. Quello che davvero mi è rimasto addosso da questa esperienza è stata la totale mancanza di necessità di tutta questa operazione. Un'operazione che in fondo farà mangiare l'editore, farà mangiare Bruno Vespa, farà passare a Salvatore Riina il messaggio che con tutta evidenza è andato consapevolmente lì a far passare. 
Sì perché al di là della più schietta apologia di un padre, ho trovato molto saggia l'analisi dell'intervista che ne ha fatto ieri Roberto Saviano nella trasmissione TvTalk (e che già qualche giorno fa era stata suggerita da quel meraviglioso giornalista chiamato Marco Damilano a Gazebo): non si è trattato soltanto dell'apologia e della precisa identificazione umana di un padre, ma di ciò che il padre per anni ha rappresentato, un sistema mafioso cioè, che oggi è stato sostituito da un altro, meno rigido nella sua coesione interna forse, ma non per questo meno carico di quel potere canceroso che possiede, senza che per altro, almeno idealmente, la vecchia guardia demorda dai propri precisi intenti. So che stasera il discorso verrà approfondito su Rai 3 a Che tempo che fa, per chi se lo fosse perso. 

Insomma: speculazione (quella dell'editore e quella di Vespa), omertà, apologia, pretesa di dominio (forse più ideologica che altro, quella di Salvatore Riina), di cosa stiamo parlando secondo voi?


P.S. So che molti obietteranno, come è stato già abbondantemente fatto, che parole del genere non fanno che alimentare il circolo vizioso della popolarità di cui per altro già gode il libro di Salvatore Riina. Avrete ragione, non avrete ragione, fatto sta che il libro ormai c'è, e quanto è accaduto e continua ad accadere motiva la necessità di parlarne.

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12 commenti

  1. Posso scrivere solo questo: bravissima!

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    1. Grazie Glò :) Non è stato per nulla facile scrivere queste parole, però mi hanno fatto sentire meglio dopo essermene liberata.

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    2. Sono importantissime le parole che hai scritto: in rete sto leggendo pensieri pericolosi sulla presunta libertà di parola, si tira in ballo l'eventuale censura (anche in relazione ai librai che non venderanno, e meno male, il prodotto, ché tale è) e sfugge quella parte che tu hai detto così brillantemente, la fascinazione possibile.
      Evito di aggiungere altro su Rai-Vespa e giornalismo asservito ;)
      Mi chiedo soltanto dove sia finito il rispetto per chi di mafia è morto.

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    3. Contro quella macchina mangia soldi nota come mediaticità sembra che ormai nulla possa il rispetto. Né l'etica o la deontologia di un mestiere.

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  2. Ho ascoltato anch'io le parole di Saviano a Tvtalk. A me Vespa non piace e questa non è stata altro che una riconferma che ci saremmo risparmiati volentieri. Avrebbe avuto senso se il figlio avesse voluto scusarsi con le vittime, offrire nuovi particolari, invece si è rivelato un insulto. Non si può mascherarla con un "Eh ma dobbiamo raccontare la banalità del male", secondo me non si può paragonarlo ad un processo in cui volente o nolente sei costretto ad ascoltare ma che a modo suo è stata una lezione per non dimenticare, per essere vigili; quella inutile puntata, questo inutile libro da cui verranno fuori soldi sporchi di sangue, quale messaggio/informazione pseudo utile/interessante avrebbero dovuto veicolare? Le istituzioni ancora una volta complici, una vergogna.

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    1. La penso esattamente come te, "inutilità" e "gratuità" sono le parole chiave per definire tutta questa storia. Non so se hai sentito l'intervento di ieri sera di Saviano da Fazio, ha analizzato in maggiore dettaglio il messaggio di Riina. L'ho trovato estremamente interessante. Non concordavo su tutto, ma per carità, sono certa che in fatto di criminalità organizzata ne sappia più di me.
      Forse allora alla fin fine tanto inutile questa operazione non è stata, almeno per qualcuno, che non siamo certo noi spettatori/lettori.

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  3. Io sono da tempo in guerra contro un sistema di informazione che dell'informazione non ha niente ed è sempre più uno strumento di sciacallaggio e lucro: si fa leva sul macabro, sullo scandalo, sulla morbosa curiosità per la delinquenza (e poi su falsi pietismi alla Barbara d'Urso per le conseguenze della stessa) per creare ascolto. Quindi sono certa si tratti solo di speculazione, ma una simile pubblicizzazione della criminalità organizzata (che purtroppo abbiamo visto sempre sugli stessi canali anche in occasione del funerale dei Casamonica o delle processioni religiose con "inchini" di fronte alla case dei boss) andrebbe punita come reato di favoreggiamento, perché perpetua una certa mentalità apologetica. Quella non è informazione, ma una forma di comunicazione che rasenta il panegirico e che dà reciproco interesse alle parti coinvolte: si venderà l'inaccettabile libro e Vespa si sfregherà le mani per gli introiti pubblicitari ottenuti con lo share.

    p.s. Non ho seguito per principio gli sviluppi della vicenda, ma il tuo intervento è stato così importante e risoluto che ci tenevo a condividere con te la mia indignazione.

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    1. Bravissima, davvero di un ulteriore forma di favoreggiamento si tratta. Più sottile, meno evidente di tante altre, ma con effetti non troppo dissimili. La comunicazione di un paese democratico, laico e contro ogni forma di violenza o criminalità, dovrebbe essere piegata al bene, all'interesse e alla crescita di consapevolezza pubblica. Ma, tant'è.

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  4. Sapevo che avresti scritto riguardo al grave fatto della puntata dedicata al figlio dei boss dei boss.
    I fatti di mafia sono tanti e tali da renderla il cancro di tanta parte del sud e non solo, eppure estende i suoi tentacoli perfino sulla Rai e in un programma di grande visibilità. Tralascio ogni giudizio su Vespa.

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    1. Quello di cui dovremmo renderci conto, la verità che molti non vogliono ammettere, è che estende i suoi tentacoli su tutto. Da Nord a Sud, dall'Italia alla Spagna al Sud America e da lì al resto del mondo (un'economia globalizzata significa anche una criminalità organizzata globalizzata), dalla politica all'intrattenimento: non c'è realtà che non ne sia pervasa. Un servizio pubblico come quello della Rai dovrebbe preparare e formare i cittadini a capire e discernere tutto ciò. E no, sapere che Totò Riina è stato un padre affettuoso non è la strategia comunicativa migliore da adottare in questo senso.

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  5. Che bel post, che riflessione lucida, coerente e dritta al punto. Complimenti.

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  6. Ti ringrazio davvero. Recenti sommovimenti a dir poco disastrosi nel mondo dell'antimafia mi spingono a continuare il discorso qui iniziato. Ma devo prima metabolizzare. Sono cose che, da siciliana, mi colpiscono come un pugno.
    A presto, e grazie per essere passata dal blog :)

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