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Di distillati, di cultura e di italiani

by - 09:32

Risale a ieri la diffusione delle statistiche Istat 2015 per ciò che riguarda il rapporto degli italiani con la cultura, nei suoi più eterogenei aspetti: libri, musei, teatri, cinema, concerti e chi più ne ha più ne metta.
In realtà ciò che è emerso non è poi così sconvolgente, indicando una tendenza stabile (se non in peggioramento) ormai da decenni: il 18% degli italiani non svolge MAI nel corso dell'anno ALCUNA attività culturale; più del 50% non compra un quotidiano nell'arco della settimana e non legge nemmeno un libro nel corso dell'anno; quasi il 70% non visita i musei, quasi l'80% non va a teatro e quasi il 90% non assiste a concerti di musica classica. E persino il 50% degli italiani non frequenta il cinema (passatempo che di certo dovrebbe essere più attraente e commerciale). 

Insomma, questo matrimonio degli italiani con la cultura non s'ha da fare. E dire che il mercato e il Governo ce la mettono tutta per fare avvicinare questi due poli contrapposti, no? Ehm... No. 

Due fra i più recenti interventi che l'uno e l'altro hanno tentato di mettere in campo (con ragioni e scopi diversi) sono da un lato gli ormai celeberrimi distillati della casa editrice Centuria (ma quanta pubblicità gli abbiamo fatto con la nostra indignazione?), cioè delle versioni appunto distillate dei libri, best seller, originali «a meno della metà delle pagine» come recita la pubblicità; dall'altro lato abbiamo l'ormai altrettanto celebre «bonus cultura» consistente in 500€ che il Governo Renzi intende donare ai diciottenni per favorire le loro attività culturali. 
Sull'una e sull'altra iniziativa si potrebbero intavolare milioni di interrogativi e milioni di polemiche. Ma quello che a me preme in questo post sottolineare è invece l'idea (non troppo dissimile) che è alla base di entrambe. Esse difatti partono dal presupposto che se gli italiani non leggono, o non partecipano ad attività culturali, lo fanno per due semplici ragioni: non hanno il tempo e non ne hanno i soldi. Diamogli l'uno e l'altro e il problema è risolto.
Niente di strano in fondo, quante volte abbiamo sentito dire frasi del tipo «Sono troppo impegnato per leggere» (presupponendo tra l'altro che tu, che invece evidentemente hai il tempo per farlo, sei uno sfaccendato) o «Andare a teatro/cinema/museo è troppo caro»? Personalmente milioni. 

Dovremmo tutti prendere esempio da Snoopy.

Ma stanno davvero così le cose? Davvero le persone non hanno tempo e non hanno abbastanza soldi? 
Voglio essere un po' presuntuosa, e voglio affermare categoricamente che no, non è così. Che forse nella percezione comune si tratta davvero di ostacoli sentiti come oggettivi, ma che in realtà a ben analizzare le nostre vite e le nostre società si tratta di una colossale bufala che imponiamo a noi stessi per mascherarne invece un'altra ben più grave: la cultura non ci interessa. E non ci interessa perché non ha mai fatto parte della nostra identità. La cultura è una perdita di tempo, con la cultura non si mangia, e quello che forse è peggio, la cultura presuppone da parte nostra una partecipazione attiva che non abbiamo voglia di mettere in moto, perché la nostra di partecipazione attiva la impegnamo tutta nelle attività quotidiane del lavoro, degli impegni, dello studio, e dopo tutto questo, a fine giornata, ciò che più agogniamo è zombificarci davanti lo schermo di un cellulare. Non abbiamo lo stimolo per nient'altro.

Niente di nuovo sotto il sole. Già più di duemila anni fa lo scrittore e filosofo latino Lucio Anneo Seneca ci ammoniva con queste parole: «Non è vero che abbiamo poco tempo, la verità è che ne perdiamo molto». E oggi le sue parole hanno una forza ancora più pregnante: la società neoliberale nella quale siamo immersi ci spinge a vivere sempre le nostre vite a mille a l'ora, ad impegnarci soltanto in ciò che è utile, cioè in ciò che produce (o è destinato a produrre) un immediato ritorno materiale ed economico. L'arricchimento materiale batte nettamente l'arricchimento l'interiore. E non solo: il fatto che la cultura non faccia parte della nostra identità più di quanto non lo faccia il nuovo modello fiammante di Iphone ci spinge a considerare la "spesa culturale" di minore priorità rispetto ad altri tipi di spese ben più edonistiche. Perché comprare un libro quando posso comprare l'ennesima maglietta in poliestere da H&M? 
Queste sono certamente questioni che riguardano in generale l'intera società "sviluppata" (notare le virgolette enfatiche). 


Nella fattispecie la società italiana poi gode e soffre di problemi endemici tutti suoi, in fatto di cultura. 
Siamo il Paese dai patrimoni artistici e monumentali unici al mondo, e li lasciamo letteralmente cadere a pezzi. 
Siamo il Paese in cui l'incompetenza politica e amministrativa regna sovrana, in cui tutto ciò che è pubblico è di scarsa importanza (a meno che ovviamente non ci si possa speculare su).

Siamo il Paese dove Pompei crolla, il Colosseo chiude per giorni, in cui per lavorare nei Beni Culturali devi vivere in un costante ricambio di tirocini a 500€ al mese (quando sei fortunato), in cui non esce un bando SERIO per lavorare negli archivi dal 2008, in cui le biblioteche (le ben poche che ci sono) non hanno mai fondi per nuovi acquisti, vivono di donazioni, e hanno orari di apertura e chiusura imbarazzanti, in cui i teatri ad ogni stagione rischiano di non ricevere fondi pubblici per portare avanti le attività, in cui i musei per rimanere aperti devono autofinanziarsi.

Davvero un libro distillato o una card da 500€ può fare la differenza? Bisogna agire sul basso terreno della quotidianità degli italiani che non si identifica con la cultura o sull'alto terreno delle istituzioni che agiscano per la libera e possibile fruizione della cultura? Per una classe dirigente che davvero sappia fare il proprio lavoro, in modo da avvicinare e rendere più coinvolgente (perché anche di questo si tratta: nella società dai mille stimoli anche la cultura deve essere in grado di essere immediatamente stimolante)? O si tratta soltanto dell'ennesimo rimedio mordi e fuggi, che forse nell'immediato ti avvicinerà ad un libro o a un museo (e in che modo poi, proponendoti un libro mutilato o costringendoti letteralmente a spendere soldi in una data maniera, perché diversamente non puoi fare), ma che l'indomani te ne farà già dimenticare? 
Siamo la società del mordi e fuggi d'altronde. Ogni investimento a lungo termine e capillare è una perdita di tempo da sfigati, da gufi, da rosiconi che guardano sempre al domani e mai all'oggi smart e patinato che ci viene confezionato. 
Ma soprattutto ogni investimento a lungo termine e capillare potrebbe restituire consapevolezza a un popolo, e questo è un pericolo da scongiurare a tutti i costi. 

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13 commenti

  1. Standing ovation. Applausi. Tanti applausi. Parole sante.

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    1. Sono felice che tu le condivida! Dando un'occhiata fra i vari blog vedo che abbiamo espresso tutti pensieri non troppo dissimili in questo periodo. C'è ancora speranza allora ^^

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    2. Eh già. Ho già detto altrove che la mia indignazione m'impedisce di esprimere un'opinione degna d'esser letta, ma vedere tanto fermento per queste situazioni più che tristi mi fa tirar grandi sospiri di sollievo.

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  2. Anche io presto pubblicherò una mia riflessione che si accomuna alla tua e a quella di altre persone. Purtroppo la gente non considera più il valore prezioso del tempo.

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    1. Seneca docet!! Io stessa mi rendo conto spesso di quanto tempo spreco, quanto spesso mi sento con l'acqua alla gola, quando invece alla fin fine, con il senno di poi, così non è. Purtroppo nella realtà in cui viviamo ci vuole una ferrea determinazione per capirlo e per valorizzarlo, perché spesso lo stimolo a coltivarlo al meglio non ci viene naturale.
      Appunto, possiamo passare un'ora a scorrere la home sempre uguale di Facebook, e poi dire che non abbiamo tempo per leggere. È un'assurdità.

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  3. Seneca aveva ragione (e quando mai gli Antichi hanno avuto torto?), ma nella nostra società vivono pochi Lucilio, come hai già detto tu: la maggior parte delle persone non solo considera secondario l'arricchimento interiore, ma addirittura arriva a ritenerlo degradante, una vera e propria perdita di tempo e denaro (ma l'ultimo modello di smartphone fa venir loro la bava alla bocca). Naturalmente, sforbiciate alla cultura e regalini in denaro per incoraggiante la fruizione sono solo giochini da imbonitori che alla cultura non apportano nulla. La storia per cui non si legge o non si entra nei musei per il loro costo, poi, è una balla colossale, sia perché esistono le biblioteche (che nel primo caso risolvono del tutto il problema), sia perché basta sentir parlare molta gente per convincersi che il vero motivo è il disinteresse più totale. Peraltro il bonus poteva essere sostituito con la soluzione adottata in alcuni Paesi europei di concedere entrate gratuite o a prezzi ridotti nei musei pubblici, ma così non si sarebbero percepiti l'entità materiale del "regalo" e il suo risvolto propagandistico.

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    1. Bravissima, il risvolto propagandistico ed elettorale gioca parte fondamentale in questa operazione tra l'altro. Alcuni musei (ben pochi se paragonati ad altre realtà europee) offrono entrate gratuite o ridotte per studenti universitari. Alcuni teatri offrono biglietti o abbonamenti ridotti al 50% (io ad esempio quest'anno ho pagato 70€ per un ciclo di 13 spettacoli e lo scorso anno 25€ per 10 concerti di musica classica), ma serve a ben poco se non si fa qualcosa di più concreto per far identificare gli italiani con la cultura. Non ho parlato della scuola nel mio articolo, ma ovviamente svolge un ruolo fondamentale. E anche lì ovviamente l'attenzione che il Governo da al mondo e alle problematiche delle scuole.

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  4. Bellissimo articolo, la cosa triste è che per vedere zalone c'è la coda ahaha paese finito ormai...

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    1. Grazie :) Zalone probabilmente in questo frangente rappresenta il male minore se pensiamo che fino a pochi anni fa le file si facevano per i cinepanettoni. Ma sì, sarebbe bello vedere la stessa fila davanti ad un teatro o ad un museo.

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  5. Descrivi molto bene la situazione. Per quanto mi riguarda è "palpabile", lo vivo con la mia professione di insegnante e con il mio fare teatro. C'è una scarsa abitudine all'acquisto di libri e un biglietto per il teatro è una "spesa" che in tantissimi non vogliono affrontare. Il tempo e i costi sono la scusa con la quale si vuole gettare la polvere sotto al tappeto.

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    1. Grazie Luz! Dato che sei in prima linea capirai benissimo i miei ragionamenti. Lavorare nella cultura con la consapevolezza costante del bilico in cui lo Stato (e lo stato di cose) ci pone.

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  6. L'unica cosa che mi scoccia è di non essere nata qualche anno dopo, scommetto che avrei speso benissimo quei 500€ :D

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    1. Ahahahah! Per noi sarebbe stato come gettare benzina sul fuoco!!!

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