Vita di Pi, da Yann Martel ad Ang Lee
Quando la spettacolarità delle più moderne tecnologie cinematrografiche incontra la letteratura allora un capolavoro può acquisire nuova vita: è questo il caso di Vita di Pi, libro dello scrittore canadese Yann Martel uscito nel 2002 (edito in Italia da Edizioni Piemme), e della sua trasposizione cinematografica realizzata nel 2012 dal regista Ang Lee, già vincitore del premio Oscar nel 2001 con La trigre e il dragone, nel 2006 con I segreti di Brokeback Mountain, e infine nel 2013, proprio con il film oggetto della nostra analisi.
Piscine Molitor Patel (nome completo di Pi) è un ragazzino indiano animato da una straordinaria intelligenza e sensibilità, quel tipo di sensibilità che soltanto il contatto con una profondissima spiritualità può donare, il quale si troverà ad affrontare una sfida terribile lanciatagli da tutti gli Dei in cui crede: sopravvivere ad un naufragio durante il quale perderà tutta la sua famiglia, sopravvivere su una scialuppa nel mezzo dell’Oceano Pacifico per ben sette mesi, convivendo con il temibile Richard Parker… Una tigre del bengala.
Ebbene questo è davvero il lato più immediato e superficiale di una storia che contiene in sé dei livelli di significato molto più profondi, oserei dire allegorici. E la chiave più immediata per comprendere questo significato “altro” è proprio la spiritualità, la fede: la fede in un Dio che è uno e mille, che può essere divinità cristiana, islamica ed induista allo stesso tempo, che è l’unica ancora per la salvezza dell’uomo, nella realtà quotidiana come in mezzo all’Oceano Pacifico.
Ad una spiritualità così umile e genuina si connette poi l’altra tematica fondamentale della storia: il rapporto che l’uomo può e deve instaurare con una natura incontrollabile e ostile, dominandola senza sopraffarla, anzi riscoprendo la bellezza e la delicatezza di tutta la sua ferinità. Così come potentissima è l’idea del rapporto che l’uomo deve instaurare con se stesso, con il proprio io, in un continuo superamento e allo stesso tempo accettazione dei propri limiti.
Qualcuno potrebbe a questo punto obiettare: come può tanta profondità di pensiero convivere con una produzione tipicamente hollywoodiana?
Grazie alla sensibilità registica di Ang Lee, la cui produzione cinematografica oscilla continuamente tra le tematiche della tradizione (che derivano anche dalle sue origini taiwanesi) e quelle della modernità. Una sensibilità che si manifesta anche in quelle che potrebbero apparire più ovvie scelte di consumo: ad esempio l’inserimento di un episodio non presente nel romanzo, la breve storia d’amore vissuta da Pi prima della sua partenza con una giovane danzatrice Bharatanatyam, danza connessa ancora una volta alla spiritualità.
Essenziale è poi l’interpretazione del protagonista Suraj Sharma: le nuove tecnologie richiedono tecniche attoriali sempre più mutevoli e raffinate, e se pensiamo che l’80% del film è stato girato dentro un enorme vasca, in un hangar in Taiwan, senza onde, senza animali, senza alcun elemento paesaggistico, e che l’attore si trovava a ricoprire il suo primo ruolo cinematografico, affrontando anche trasformazioni fisiche visibili nel corso del film, allora la sua interpretazione risulta ancora più stupefacente.
Inutile poi discutere delle straordinarie tecniche di rappresentazione digitale dispiegate nel corso del film, in grado di rendere assolutamente affascinante e verosimile la rappresentazione di una natura già di per sé spettacolare. Anzi, chi avesse voglia di scoprire di più sui retroscena di questa monumentale lavorazione può saziare la propria curiosità anche attraverso il libro di Jean-Christophe Castelli, Vita di Pi- un film, un viaggio (15€, L’Ippocampo edizioni).
In ultima analisi, potremmo concludere questo articolo con
le parole dello stesso autore, Yann Martel:
Sta a ciascun lettore decidere di cosa parla Vita di Pi. […] Quella di Pi e Richard Parker è una storia che parla di una scelta esistenziale. Come vivi la tua vita? Sei pilotato dai categorici editti del raziocinio o aperto a possibilità più prodigiose?
Alla sensibilità
di ognuno spetta dunque la risposta. Quello che in questa sede possiamo dire è
che, al di là delle scelte di ognuno, nessun lettore e nessun spettatore può
rimanere insensibile di fronte a tante potenti riflessioni, a tanta poesia e a
tanta bellezza. E che forse il libro necessitava della spettacolarità del film,
che è stato in grado di fare emergere tutto ciò con grandissima forza.
2 commenti
Per ora ho visto solo il film, ed è la cosa di cui più mi rammarico. Avrei voluto leggerne prima il libro.
RispondiEliminaCiao! Devo con grande rammarico ammettere che anche io ho seguito l'ordine film-libro. Anche perché, quando è uscito, non avevo idea fosse stato tratto da un libro.
RispondiEliminaIn ogni caso, non è una di quelle visioni che ti compromette la bellezza del libro. Benché come ho scritto i punti di contatto tra i due siano notevoli, il libro è colmo di riflessioni filosofiche/spirituali molto molto interessanti, e per nulla pesanti.
Fammi sapere cosa ne pensi quando lo leggerai! :) Buona serata!