Sicilia di carta
Forse non tanto paradisiaca per chi ci vive, come la sottoscritta:
presunzione, ignoranza, connivenza, refrattarietà ai cambiamenti, sono questi i
tratti peggiori che la Sicilia e i siciliani (o almeno, alcune sue generazioni)
si portano dietro.
Eppure attenzione, io quest'isola un po' malandata la amo con tutta me
stessa, in tutte e per tutte le sue mille contraddizioni. E ho imparato ad
amarla attraverso la sua lingua e attraverso la sua straordinaria
letteratura.
«I siciliani pur di non lavorare scrivono» dice Nadia Terranova, scrittrice
messinese, nel suo blog.
E la condizione di insularità è forza motrice essenziale della letteratura
siciliana: quest'isola si ama, si odia, è luce e ombra, è desiderio di fuggire
e necessità di ritornare. Contraddizione, costantemente contraddizione.
Non è affatto facile perciò parlare di Sicilia. Eppure essa è stata al
centro dell’ispirazione letteraria di tantissimi autori, che spesso nelle loro
opere palesano un senso di appartenenza, ma allo stesso tempo di distacco,
fortissimo.
Non molto tempo fa Daniel Pennac, in occasione di una sua visita a Palermo,
ha detto che la Sicilia è la più grande isola letteraria europea,
insieme all’Irlanda. E non potrei essere più d’accordo.
Tutto ciò insieme ai miei studi, da tempo, mi ha spinto a pensare a
questo articolo. Quello che qui voglio realizzare non è un trattato di
geo-letteratura. E non ho di certo l'ardire di passare in rassegna tutti gli
autori siciliani.
Attraverso le parole di quegli scrittori che hanno cambiato la mia visione
di questa terra, voglio semplicemente proporvi un viaggio, provincia per
provincia. Nella speranza che possano affascinarvi, spingervi a leggerli e che
possano contribuire a cambiare anche la vostra di visione.
GIUSEPPE TOMASI DI LAMPEDUSA (Palermo 1896 -
Roma 1957)
IL GATTOPARDO - FELTRINELLI, 1958
Il discorso del Principe Fabrizio di Salina a Chevalley, esponente del
governo piemontese, venuto a offrirgli un posto in Senato, nel neonato Regno
d'Italia:
Siamo vecchi, Chevalley, vecchissimi. Sono
venticinque secoli, almeno, che portiamo sulle spalle il peso di magnifiche
civiltà, eterogenee, tutte venute da fuori già complete e perfezionate, nessuna
germogliata da noi stessi, nessuna a cui abbiamo dato il “la”; noi siamo dei
bianchi quanto lo è lei, Chevalley e quanto la regina di Inghilterra; eppure da
duemila cinquecento anni siamo colonia. Non lo dico per lagnarmi: è in gran
parte colpa nostra; ma siamo stanchi e svuotati lo stesso […] Il sonno caro
Chevalley, il sonno è ciò che i Siciliani vogliono, ed essi odieranno sempre
chi li vorrà svegliare, sia pure per portare loro i più bei regali […] Tutte le
manifestazioni siciliane sono manifestazioni oniriche, anche le più violente:
la nostra sensualità è desiderio di oblìo, le schioppettate e le coltellate
nostre, desiderio di morte, la nostra pigrizia, i nostri sorbetti di scorsonera
o di cannella; il nostro aspetto meditativo è quello del nulla che voglia
scrutare gli enigmi del nirvana […] Non nego che alcuni Siciliani trasportati
fuori dall’isola possano riuscire a smagarsi: però bisogna farli partire quando
sono molto, molto giovani: a vent’anni è già tardi; la crosta è già fatta,
dopo: rimarranno convinti che il loro è un paese come tutti gli altri,
scelleratamente calunniato; che la normalità civilizzata è qui, la stramberia
fuori. In Sicilia non importa far male o far bene: il peccato che noi Siciliani
non perdoniamo mai è semplicemente quello di “fare”.
PROVINCIA DI AGRIGENTO
LEONARDO SCIASCIA (Racalmuto 1921 - Palermo
1989)
IL GIORNO DELLA CIVETTA - EINAUDI, 1961
I pensieri del Capitano Bellodi durante l'indagine per un delitto di mafia.
Bellodi è un brigadiere emiliano trasferito in Sicilia, e deve tentare di
comprendere ora le diverse antropologie siciliane:
Il delitto passionale, il
capitano Bellodi pensava, in Sicilia non scatta dalla vera e propria
passione, dalla passione del cuore; ma da una specie di passione intellettuale,
da una passione o preoccupazione di formalismo, come dire?, giuridico: nel
senso di quella astrazione in cui le leggi vanno assottigliandosi attraverso i
gradi di giudizio del nostro ordinamento, fino a raggiungere quella trasparenza
formale in cui il merito, cioè l'umano peso dei fatti, non conta più; e,
abolita l'immagine dell'uomo, la legge nella legge si specchia [...] E ciò
discendeva dal fatto, pensava il capitano, che la famiglia è l'unico istituto
veramente vivo nella coscienza del siciliano: ma vivo più come drammatico nodo
contrattuale, giuridico, che come aggregato naturale e sentimentale. La
famiglia è lo Stato del siciliano. Lo Stato, quello che per noi è lo Stato, è
fuori: entità di fatto realizzata dalla forza; e impone le tasse, il servizio
militare, la guerra, il carabiniere. Dentro quell'istituto che è la famiglia,
il siciliano valica il confine della propria naturale e tragica solitudine e si
adatta, in una sofistica contrattualità di rapporti, alla convivenza. Sarebbe
troppo chiedergli di valicare il confine tra la famiglia e lo Stato. Magari si
infiammerà dell'idea dello Stato o salirà a dirigerne il governo: ma la forma
precisa e definitiva del suo diritto e del suo dovere sarà la famiglia, che
consente più breve il passo verso la vittoriosa solitudine.
GESUALDO BUFALINO (Comiso 1920 - Vittoria 1996)
L’ISOLA PLURALE in CERE PERSE - SELLERIO, 1985
Vi è una Sicilia “babba”,
cioè mite, fino a sembrare stupida; una Sicilia “sperta”, cioè furba, dedita
alle più utilitarie pratiche della violenza e della frode. Vi è una Sicilia
pigra, una frenetica; una che si estenua nell'angoscia della roba, una che
recita la vita come un copione di carnevale; una, infine, che si sporge da un
crinale di vento in un accesso di abbagliato delirio.
Tante Sicilie, perché?
Perché la Sicilia ha avuto la sorte ritrovarsi a far da cerniera nei secoli fra
la grande cultura occidentale e le tentazioni del deserto e del sole, tra la
ragione e la magia, le temperie del sentimento e le canicole della passione.
Soffre, la Sicilia, di un eccesso d'identità, né so se sia un bene o sia un
male. Certo per chi ci è nato dura poco l'allegria di sentirsi seduto
sull'ombelico del mondo, subentra presto la sofferenza di non sapere districare
fra mille curve e intrecci di sangue il filo del proprio destino.
Capire la Sicilia
significa dunque per un siciliano capire se stesso, assolversi o condannarsi.
Ma significa, insieme, definire il dissidio fondamentale che ci travaglia,
l'oscillazione fra claustrofobia e claustrofilia, fra odio e amor di clausura,
secondo che ci tenti l'espatrio o ci lusinghi l'intimità di una tana, la
seduzione di vivere la vita con un vizio solitario. L'insularità, voglio dire,
non è una segregazione solo geografica, ma se ne porta dietro altre: della
provincia, della famiglia, della stanza, del proprio cuore. Da qui il nostro
orgoglio, la diffidenza, il pudore; e il senso di essere diversi.
SALVATORE QUASIMODO (Modica 1901 - Napoli 1968)
UNA POETICA in POESIE E DISCORSI SULLA POESIA, MONDADORI - 1971
La parola isola, o la
Sicilia, s’identificano nell’estremo tentativo di accordi col mondo esterno e
con la probabile sintassi lirica. Potrei dire che la mia terra è “dolore
attivo”, al quale si richiama una parte della memoria quando nasce un dialogo
interiore con una persona amata lontana o passata all’altra riva degli affetti
[…]Ma poi: qual poeta non ha posto la sua siepe come confine del mondo, come
limite dove il suo sguardo arriva più distintamente? La mia siepe è la Sicilia;
una siepe che chiude antichissime civiltà e necropoli e latomie e telamoni
spezzati sull’erba e cave di salgemma e zolfare e donne in pianto da secoli per
i figli uccisi, e furori contenuti o scatenati, banditi per amore o per giustizia.
Anch’io non ho cercato lontano il mio canto, e il mio paesaggio non è mitologico
o parnassiano: là c’è l’Anapo e l’Imera e il Platani e il Ciane con i papiri e
gli eucalyptus, là Pantalica con le sue tane tombali scavate quarantacinque
secoli prima di Cristo, “fitte come celle d’alveare”, là Gela e Megara Iblea e
Lentini: un amore, come dicevo che non può dire alla memoria di fuggire per
sempre da quei luoghi.
PROVINCIA DI MESSINA
VINCENZO CONSOLO (Sant'Agata di Militello 1933 - Milano 2012)
COMISO, in LE PIETRE DI PANTALICA - MONDADORI 1988
Io non so che voglia sia
questa, ogni volta che torno in Sicilia, di volerla girare e girare, di
percorrere ogni lato, ogni capo della costa, inoltrarmi all'interno, sostare in
città e paesi, in villaggi e luoghi sperduti, rivedere vecchie persone,
conoscerne nuove. Una voglia, una smania che non mi lascia star fermo in un
posto. Non so. Ma sospetto sia questo una sorta d'addio, un volerla vedere e
toccare prima che uno dei due sparisca.
STEFANO D’ARRIGO (Alì Terme 1919 - Roma 1992)
HORCYNUS ORCA - MONDADORI 1975
La visione del protagonista, Andrea Cambria,
un marinaio, dello stretto di Messina, dove mitologicamente si trovavano Scilla
e Cariddi:
Qualcosa, in Sicilia, che per la coloritura violacea
riflessa dall’acqua sembrava una grande troffa di buganvillea pendente sulla
linea dei due mari, brillò per un attimo dal mezzo della nuvolaglia e poi il
brillìo cessò e lo seguì un risplendere breve breve e bianco di pietra, e allora,
nel momento in cui spariva nella fumèa, riconobbe lo sperone corallino che
dalla loro marina s’appruava, quasi al mezzo, per spartirli, fra Tirreno e
Jonio.
PROVINCIA DI SIRACUSA
VITALIANO BRANCATI (Pachino 1907 - Torino 1954)
IL BELL'ANTONIO - BOMPIANI, 1949
Per il rispetto che il mio mestiere di cronista deve alla
verità, dirò che questi scapoli siciliani erano piuttosto brutti, fuorché uno,
Antonio Mangano, che era bellissimo. Con questo non voglio affermare che i
brutti riuscissero sgraditi alle donne: al contrario molti di essi, nonostante la
bassa statura, e i nasi ebraici, e l'unghia del mignolo lasciata crescere per
pulire l'interno dell'orecchio, parevano legati da una grave complicità a tutto
il genere femminile; si sarebbe detto che fra loro e qualunque donna ci fosse
una cattiva azione compiuta insieme chissà dove e quando: non v'era sconosciuta
che, al primo vederli, non sembrasse riconoscerli impallidendo e rivelarsi
subito legata a loro da vecchi e inconfessabili trascorsi. Per questo, i loro
successi avevano sempre un'aria esosa di riscatto, sebbene, posso giurarlo,
questi uomini di venticinque e trent'anni fossero di una cortesia e una
tenerezza senza pari nei riguardi dell'altro sesso. Ma sulla terra piena di
misteri, il vivente più misterioso è forse l'uomo brutto.
ELIO VITTORINI (Siracusa 1908 - Milano 1966)
"IN MORTE DI ELIO
VITTORINI" DI LEONARDO SCIASCIA (DA "GIOVANE CRITICA" - N.8
PRIMAVERA 1966)
Il rapporto di Vittorini con la sua terra fu
sempre particolarmente contrastato. Ne ha fatto oggetto di viaggi mitici ne i
suoi Conversazione in Sicilia e Le città del mondo. Ma per lui la sua
terra natia rimaneva uno sfondo mitico, lontano e magico appunto. La sua vita
intellettuale si svolgeva e si rivolgeva altrove. Per questo anziché riportare
un brano delle sue opere, voglio vivamente condividere con voi lo stralcio di
un articolo scritto da Leonardo Sciascia dopo la morte dello scrittore, in cui
con tutta la sua evidenza viene a galla il legame tra Vittorini e la Sicilia:
La sua polemica con la Sicilia, e con me quando ci
incontravamo, era piuttosto aspra. L'ultima volta che ci siamo visti mi ha
detto che considerava il mio stare in Sicilia come una specie di esibizionismi:
tanto gli pareva incredibile la possibilità di una vita intelligente, di una
vita cosciente, dentro una realtà che immaginava prosciugata, definitivamente e
disperatamente refrattaria. E aggiunse che con la Sicilia ormai altro rapporto
non sentiva che quello del ricordo di certi odori e sapori: nessun sentimento,
nessuna idea lo legavano più alla sua terra. Ma il fatto che ne parlasse con
tanto sdegno e persino con disprezzo, era il segno del suo segreto
attaccamento. Io sapevo che il suo sdegno era passione, amore. E lui sapeva che
io sapevo; e più dunque se ne irritava.
SEBASTIANO
AGLIANÒ (Siracusa 1917 - Siena 1982)
CHE COS’È
QUESTA SICILIA - SELLERIO 1996
Un’attenzione particolare è stata dedicata negli ultimi
anni alla Sicilia, se non altro per il poco invidiabile privilegio che le è
venuto dall’essere stata teatro di avvenimenti clamorosi, tali da suscitare l’interesse
dell’intera Nazione […] Di tanto in tanto l’Italia sembra come svegliarsi dalla
sua illusione, e accorgersi che, infine, vi è anche un problema siciliano:
quanto finora sapeva sull’Isola non glielo aveva fatto intravedere! Giornalisti
e sociologi e uomini politici varcano allora lo Stretto, vengono ordinate
inchieste, si escogitano i rimedi più infallibili. Su questa eterna malata che
è la Sicilia, ognuno ha la sua parola da dire […] Poi tutto tace come per
incanto; finché un nuovo incidente non dà ancora l’allarme, e sorgono le stesse
meraviglie, e si ripetono le stesse cose, le frasi fatte, i soliti luoghi
comuni sul latifondo, la mafia, il brigantaggio. Nello stupore di oggi non si
riconosce lo stupore di ieri […] Sicché oggi, dietro l’urto inequivocabile
degli avvenimenti, l’Italia è tornata a chiedersi, ignara e stupitissima, che
cosa mai avvenga in Sicilia. È terribile che ciò possa succedere: tale stupore
è tra i segni più tangibili della scarsa compattezza morale di un popolo. Al di
là di tutte le polemiche, le discussioni, e i grandiosi programmi agitati dalla
stampa c’è stato solo un fatto concreto: cioè l’isolamento della Sicilia e dell’uomo
siciliano. Da una parte la lentezza che mostrava questo popolo ad evolversi e
la politica retriva dei suoi ceti dirigenti, interessati a mantenerne immutata
la fisionomia e ad impedire che le nuove conquiste sociali, già maturate nelle
zone più aggiornate del continente europeo, penetrassero nell’Isola; dall’altra
parte – nel Nord dell’Italia – lo sforzo di bloccare ogni rinascita nel
Meridione, considerato un ottimo mercato dei prodotti industriali e nello
stesso tempo una preziosa riserva della reazione italiana […] In tali
condizioni non bastava e non basta idre: vogliamo l’industria, vogliamo la
risoluzione del problema del latifondo. Siffatti desideri sono destinati a
rimanere vani e menzogneri, se non si dà al popolo la facoltà di chiedere sul
serio queste innovazioni, attraverso un’azione concreta, e di sostenerne l’applicazione
in vista del benessere generale: se cioè non gli si viene incontro nei
tentativi che esso compie di organizzarsi e quindi di educarsi politicamente.
In ciò è uno dei punti basilari della questione siciliana. La diseducazione del
popolo è stata alla base di tutto: per questa ragione la Sicilia ha sempre
stentato a modificare il proprio volto, per questa ragione si è potuto sempre
lasciarla in balìa di interessi a lei estranei o danno: quelli della finanza
del Nord.
E qui si ferma il nostro viaggio. Spero ve lo siate goduto e
soprattutto che lo continuerete attraverso le vostre letture. Mi perdonino le
province di Trapani, Enna, Caltanissetta e Catania per non averle menzionate, e non perché da queste terre non provengano autori straordinari, tutt'altro. Non volevo appesantire troppo l'articolo e probabilmente dedicherò ad esse una seconda puntata del nostro tour.
E se qualcuno volesse contribuire, con citazioni, libri, o autori siciliani che non conosco, ben venga, sarei davvero felice di continuare anche io questo viaggio!
E se qualcuno volesse contribuire, con citazioni, libri, o autori siciliani che non conosco, ben venga, sarei davvero felice di continuare anche io questo viaggio!
4 commenti
Mi mancano Bufalino, D'Arrigo e Aglianò... gran regione comunque :)
RispondiEliminaCere perse di Bufalino e Che cos'è questa Sicilia di Aglianò sono purtroppo entrambi fuori catalogo. Ed è un peccato immenso, perché sono libri bellissimi. Puoi eventualmente provare a rivolgerti alle biblioteche. D'Arrigo invece viene fortunatamente ancora pubblicato. Horcynus Orca è un libro immenso, per mole e densità linguistica.. Una sorta di Ulisse di Joyce nostrano! Se ti interessa posso consigliarti un'altra grandissima autrice siciliana contemporanea che con la lingua e il dialetto gioca moltissimo: Silvana Grasso. Mi rendo conto che per un non siciliano può essere una lettura ostica (dimentica Camilleri, il livello linguistico è molto più elaborato), ma ne vale assolutamente la pena. Il suo libro più bello che ho letto è Il bastardo di Mautana. Mentre un altro suo testo molto bello e meno complicato stilisticamente è La pupa di zucchero.
RispondiEliminaGrazie di avermi seguito in questo viaggio. Buon weekend :)
Di questo elenco me ne mancano parecchi da leggere, "purtroppo" la letteratura straniera, classica e contemporanea, mi ha rapito anni fa e non mi ha fatto più ritornare alla frequentazione letteraria nostrana. Dovrei guardare più spesso alla mia terra quando scelgo cosa leggere, mi scordo di quanta sia letteraria la nostra isola!
RispondiEliminaA spingermi verso la letteratura siciliana sono stati soprattutto i miei studi. Ho avuto la fortuna di avere all'università professori profondamente radicati al nostro territorio, sia da un punto di vista linguistico che letterario. Ma sai, anche per le letture come per ogni altra cosa riguardi la Sicilia penso sia essenziale l'allontarsene per poi tornarne, con maggiore consapevolezza e maggiore amore, quindi arriverà anche il tuo tempo per lei! Se poi vorrai un consiglio sarò ben felice di dartelo :)
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