Gilmore Girls - A year in the life
No. La mia non è saggezza, non ho atteso che tutti aveste il tempo per godervi le nuove quattro puntate di una delle serie tv più apprezzate dalla mia generazione, per scriverne. Semplicemente alle cose arrivo come al solito tardi. Quando tutti hanno già detto quello che c'era da dire e quando voi non ne potete più di sentirne parlare.
Ma in fondo, quale migliore occasione per inaugurare per altro una nuova rubrica? Più che una rubrica sarà un contenitore in cui raccoglierò le mie opinioni sugli argomenti più disparati che non hanno strettamente a che fare con i libri, giacché fortunatamente le mie passioni non si limitano a questo. Da qui il suo nome tutt'altro che originale: Off-Topic! E come dicevamo, inauguriamola parlando di Gilmore Girls - A Year in the life, serie tv di quattro puntate, ciascuna per una stagione dell'anno.
Come certamente saprà chiunque non abbia vissuto in una caverna su Marte nelle ultime due settimane, la piattaforma on demand Netflix ha donato ai suoi entusiasti abbonati il revival delle Gilmore Girls. La serie, forse più nota in Italia con il nome Una mamma per amica, si era conclusa nove anni fa, con molti interrogativi in sospeso (anche se non maggiori o più eclatanti di molte altre serie tv), ma soprattutto, lasciando dietro di sé un debito emotivo nei confronti degli spettatori decisamente non da poco.
Il magico mondo di Stars Hollow ci ha incantati, in Lorelai vedevamo il rapporto di madre-amica che avremmo sempre desiderato, e qualcuno è pure riuscito ad averlo; in Rory probabilmente vedevamo un po' di noi stesse; in Emily e Richard vedevamo quei nonni tanto amorevoli che alcuni di noi hanno avuto la fortuna di conoscere, altri no; le loro avventure ci hanno emozionato e fatto commuovere. E quando Rory finalmente parte, in quell'estate del 2007, per seguire da giornalista la campagna elettorale di Barack Obama le nostre speranze per lei, per il mondo, per le mille possibilità che avevamo davanti, erano a mille.
Il magico mondo di Stars Hollow ci ha incantati, in Lorelai vedevamo il rapporto di madre-amica che avremmo sempre desiderato, e qualcuno è pure riuscito ad averlo; in Rory probabilmente vedevamo un po' di noi stesse; in Emily e Richard vedevamo quei nonni tanto amorevoli che alcuni di noi hanno avuto la fortuna di conoscere, altri no; le loro avventure ci hanno emozionato e fatto commuovere. E quando Rory finalmente parte, in quell'estate del 2007, per seguire da giornalista la campagna elettorale di Barack Obama le nostre speranze per lei, per il mondo, per le mille possibilità che avevamo davanti, erano a mille.
Cosa è successo nove anni dopo? Il mondo non sembra quasi più lo stesso: nel 2008 è arrivata la crisi economica mondiale come un pugno dritto in faccia. Barack Obama ha governato per otto anni, tradendo grande parte di chi credeva in lui. Tutto ciò che appariva magicamente e quasi per atto dovuto ai piedi di noi figli di quella lunga pace e prosperità, iniziata con il crollo del Muro di Berlino, ha iniziato a poco a poco a mostrare le proprie, enormi, falle. Lo so, la sto facendo troppo lunga, ma parlo anche di questo, perché sono motivazioni che a buon vedere fanno di Gilmore Girls - A Years in the Life, ciò che è.
Dunque nove anni dopo ci ritroviamo a Stars Hollow: Rory, come tutti noi poveri comuni mortali che ci affacendiamo dietro al mondo delle lettere, è una precaria, o meglio una free-lance, che suona più politically correct. Ha trentadue anni, e da un certo punto di vista sembra non aver tradito se stessa: non è ancora sposata, ha scelto di coltivare la propria carriera e di vagare da un punto all'altro del mondo dietro mille progetti e mille esperienze.
Eppure quello che scopriamo in queste quattro puntate è che invece ha tradito totalmente se stessa: da brava figlia della sua generazione, bianca, brillante e privilegiata, niente le sembra abbastanza, anche i lavori, in un certo senso più umili, che le vengono serviti su un piatto d'argento. Una nuova testata online la desidera come non mai, ma lei non si degna nemmeno di prepararsi per il colloquio. Le collaborazioni come giornalista e come ghost writer che le vengono proposte la stufano e la sfiancano. La possibilità di un posto di lavoro sicuro e prestigioso, come la cattedra nella sua vecchia scuola, la Chilton, attraverso l'investimento di un minimo sforzo (un misero master post laurea), non la convince. E allora che fa? Quello che tutti temiamo più di ogni altra cosa al mondo: torna al paesello, a casa della mamma (tentando di convincere se stessa e gli altri, che si tratta soltanto di una cosa temporanea), e cerca se stessa. E a salvarla, sarà, ancora una volta, chi più di ogni altro l'ha sempre capita e amata: Jesse, che la convince a scrivere un libro su se stessa e su sua madre, ovviamente intitolato Gilmore Girls.
È questo a mio parere il tradimento peggiore che viene riservato a personaggio di Rory: da figlia di una ragazza madre che ha sacrificato praticamente tutto per farle inseguire i suoi sogni, e che rispettava con enorme umiltà tali sacrifici, si trasforma in una perfetta Lucy. Forse sembrerò caustica, come chi parla di choosy, ma c'è una bella differenza tra l'avere una laurea in giornalismo a Yale e non accettare di lavorare in un call center, e l'avere una laurea in giornalismo a Yale e non accettare una collaborazione, servita su un piatto d'argento, con una innovativa testata online. Sì, anche se hai trentadue anni, Rory, tu più di chiunque altro dovresti sapere che il mestiere che hai scelto è fatto soprattutto di compromessi.
Tutto il resto, ciò di cui si sono (giustamente) lamentati i fan, come la relazione adulterina con Logan Huntzberger, il sesso più che occasionale, la ridicola relazione con Paul, passano nella mia prospettiva in secondo piano: era anche ora che la piccola Rory combinasse un po' di cavolate nella sua vita sentimentale. Sì, comprendo e accetto anche quella sconcertante frase finale.
Ma veniamo a Lorelai. Se cerchiamo delle certezze nella nostra vita, possiamo porle al contrario sull'instabilità emotiva di questa donna. Dopo nove anni vive ancora felicemente con Luke, senza essersi però sposati. La sua amata locanda, il Dragon Fly Inn, procede nella sua rotta, e anzi addirittura finisce per espandersi. La vita è quella di sempre. Ma un evento stravolge tutto. La morte del padre, Richard Gilmore (interpretato da un compattissimo Edward Hermann), risveglia in lei tutte le incertezze di una vita: dal legame non semplice con il genitore, si passa al rapporto quanto mai astruso con la madre, e da qui, l'equazione è semplice, con il compagno di una vita, Luke. Un uomo semplice, che ridimensiona invece tutta la sua (a volte fine a se stessa) complessità, e che se potesse stenderebbe il mondo intero ai piedi della donna che ama. Certo, è naturale che la perdita di un genitore metta in discussione una parte di noi stessi, soprattutto di un genitore così ambivalente come Richard. Però il rischio del grottesco, nel rappresentare così una donna di quarantotto anni, è dietro l'angolo. Rischio che tocca tutto il suo apice nella decisione, fortunatamente poi abbandonata, di avere un nuovo bambino con il ricorso ad una madre surrogata. Alla fine però tutto si ricompone: è stato necessario quasi un anno, il ricorso ad una terapeuta, e una di quelle fughe di cui mamma Gilmore è tanto esperta, ma alla fine Lorelai trova il coraggio di ammettere con se stessa e con Emily, che suo padre la amava, e che dunque anche lei può amarsi e lasciarsi amare.
E infine, regina indiscussa, as always: Emily, la Gilmore Senior. Su di lei gli sceneggiatori hanno fatto decisamente il lavoro migliore. Una donna che ha trascorso cinquant'anni del propria vita nell'unico ruolo di moglie, come può reagire alla morte del marito? Beh, è ovvio, sbroccando. Emily attraversa magistralmente tutte le fasi del lutto (e diciamolo, le fa attraversare anche a noi): negazione e rabbia volano da sé nella prima puntata, nel tragicomico episodio del mastodontico ritratto del marito; e poi compromesso, con tutto ciò che di materiale la circonda inizialmente, e con se stessa poi quando deciderà di vedere finalmente una terapeuta; depressione, quando, la donna di ferro che mai sta con le mani in mano, inizierà a svegliarsi ogni mattina a mezzogiorno; infine accettazione, un'accettazione che significa soprattutto rivoluzione.
Vediamo finalmente una Emily Gilmore che mai ci saremmo aspettate di vedere, ma sempre abbiamo creduto di scorgere, dietro mille orpelli: una Emily materna, che accoglie prima con noncuranza, poi con sempre maggiore affetto l'intera famiglia della sua comicissima cameriera, che un tempo sarebbe stata licenziata in quattro e quattr'otto; una Emily che abbandona la casa di una vita per trasferirsi in un luogo che le da gioia, dove accanto al ritratto di Richard può costruire nuovi ricordi e una nuova se stessa; una Emily che abbandona nel più plateale e divertente dei modi tutte le costrizioni e ipocrisie sociali su cui aveva costruito un'esistenza intera. Insomma, finalmente, una Emily autentica, che ha scoperto e ha il coraggio di scoprire ciò che di veramente importante c'è nella vita. Davvero straordinaria poi l'interpretazione di Kelly Bishop.
Sono loro tre le Gilmore Girls, le ragazze attorno cui ruota tutto. Ma non si può dimenticare quella flotta di personaggi minori che con la loro presenza hanno reso Stars Hollow il mondo che abbiamo amato: Luke, con quell'amore negli occhi che tutti vorremmo; Paris, sempre un carro armato di forza, rabbia e isteria; Kirk, demenziale, adorabile, il cugino un po' scemo ma talmente buono, che si trova in ogni famiglia; Logan, Jesse, e Dean, che tanto hanno diviso le fan e che sempre ameranno Rory; Michelle, che finalmente ha fatto coming out e ha trovato l'amore; Lane e la signora Kim adorabilmente uguali a se stesse; Taylor, Babette, Gipsy, talmente surreali e fiabeschi.
In definitiva, ci sono non lievi pecche in questo revival, tutte per lo più individuabili a livello di sceneggiatura, dove tra l'altro spesso si nota la difficoltà, di chi ha sempre scritto per la televisione, di reggere le sorti di episodi lunghi 90 minuti. La naturalezza di un'operazione del genere, dopo ben nove anni, non era certo facile da perseguire, e l'artificiosità in alcuni espedienti fa da padrona, ad esempio laddove si tenta di giustificare le assenze o gli sviluppi di determinati personaggi secondari, ma essenziali nel immaginario dei fan.
Non c'è la bellezza delle Gilmore Girls a cui siamo stati abituati per sette stagioni. Ma c'è la bellezza del ritorno a casa dopo una lunga assenza. Insomma, il debito emotivo di cui sopra, alla fine, da una possibilità di salvezza a questo revival.
È questo a mio parere il tradimento peggiore che viene riservato a personaggio di Rory: da figlia di una ragazza madre che ha sacrificato praticamente tutto per farle inseguire i suoi sogni, e che rispettava con enorme umiltà tali sacrifici, si trasforma in una perfetta Lucy. Forse sembrerò caustica, come chi parla di choosy, ma c'è una bella differenza tra l'avere una laurea in giornalismo a Yale e non accettare di lavorare in un call center, e l'avere una laurea in giornalismo a Yale e non accettare una collaborazione, servita su un piatto d'argento, con una innovativa testata online. Sì, anche se hai trentadue anni, Rory, tu più di chiunque altro dovresti sapere che il mestiere che hai scelto è fatto soprattutto di compromessi.
Tutto il resto, ciò di cui si sono (giustamente) lamentati i fan, come la relazione adulterina con Logan Huntzberger, il sesso più che occasionale, la ridicola relazione con Paul, passano nella mia prospettiva in secondo piano: era anche ora che la piccola Rory combinasse un po' di cavolate nella sua vita sentimentale. Sì, comprendo e accetto anche quella sconcertante frase finale.
Ma veniamo a Lorelai. Se cerchiamo delle certezze nella nostra vita, possiamo porle al contrario sull'instabilità emotiva di questa donna. Dopo nove anni vive ancora felicemente con Luke, senza essersi però sposati. La sua amata locanda, il Dragon Fly Inn, procede nella sua rotta, e anzi addirittura finisce per espandersi. La vita è quella di sempre. Ma un evento stravolge tutto. La morte del padre, Richard Gilmore (interpretato da un compattissimo Edward Hermann), risveglia in lei tutte le incertezze di una vita: dal legame non semplice con il genitore, si passa al rapporto quanto mai astruso con la madre, e da qui, l'equazione è semplice, con il compagno di una vita, Luke. Un uomo semplice, che ridimensiona invece tutta la sua (a volte fine a se stessa) complessità, e che se potesse stenderebbe il mondo intero ai piedi della donna che ama. Certo, è naturale che la perdita di un genitore metta in discussione una parte di noi stessi, soprattutto di un genitore così ambivalente come Richard. Però il rischio del grottesco, nel rappresentare così una donna di quarantotto anni, è dietro l'angolo. Rischio che tocca tutto il suo apice nella decisione, fortunatamente poi abbandonata, di avere un nuovo bambino con il ricorso ad una madre surrogata. Alla fine però tutto si ricompone: è stato necessario quasi un anno, il ricorso ad una terapeuta, e una di quelle fughe di cui mamma Gilmore è tanto esperta, ma alla fine Lorelai trova il coraggio di ammettere con se stessa e con Emily, che suo padre la amava, e che dunque anche lei può amarsi e lasciarsi amare.
E infine, regina indiscussa, as always: Emily, la Gilmore Senior. Su di lei gli sceneggiatori hanno fatto decisamente il lavoro migliore. Una donna che ha trascorso cinquant'anni del propria vita nell'unico ruolo di moglie, come può reagire alla morte del marito? Beh, è ovvio, sbroccando. Emily attraversa magistralmente tutte le fasi del lutto (e diciamolo, le fa attraversare anche a noi): negazione e rabbia volano da sé nella prima puntata, nel tragicomico episodio del mastodontico ritratto del marito; e poi compromesso, con tutto ciò che di materiale la circonda inizialmente, e con se stessa poi quando deciderà di vedere finalmente una terapeuta; depressione, quando, la donna di ferro che mai sta con le mani in mano, inizierà a svegliarsi ogni mattina a mezzogiorno; infine accettazione, un'accettazione che significa soprattutto rivoluzione.
Vediamo finalmente una Emily Gilmore che mai ci saremmo aspettate di vedere, ma sempre abbiamo creduto di scorgere, dietro mille orpelli: una Emily materna, che accoglie prima con noncuranza, poi con sempre maggiore affetto l'intera famiglia della sua comicissima cameriera, che un tempo sarebbe stata licenziata in quattro e quattr'otto; una Emily che abbandona la casa di una vita per trasferirsi in un luogo che le da gioia, dove accanto al ritratto di Richard può costruire nuovi ricordi e una nuova se stessa; una Emily che abbandona nel più plateale e divertente dei modi tutte le costrizioni e ipocrisie sociali su cui aveva costruito un'esistenza intera. Insomma, finalmente, una Emily autentica, che ha scoperto e ha il coraggio di scoprire ciò che di veramente importante c'è nella vita. Davvero straordinaria poi l'interpretazione di Kelly Bishop.
Sono loro tre le Gilmore Girls, le ragazze attorno cui ruota tutto. Ma non si può dimenticare quella flotta di personaggi minori che con la loro presenza hanno reso Stars Hollow il mondo che abbiamo amato: Luke, con quell'amore negli occhi che tutti vorremmo; Paris, sempre un carro armato di forza, rabbia e isteria; Kirk, demenziale, adorabile, il cugino un po' scemo ma talmente buono, che si trova in ogni famiglia; Logan, Jesse, e Dean, che tanto hanno diviso le fan e che sempre ameranno Rory; Michelle, che finalmente ha fatto coming out e ha trovato l'amore; Lane e la signora Kim adorabilmente uguali a se stesse; Taylor, Babette, Gipsy, talmente surreali e fiabeschi.
Non c'è la bellezza delle Gilmore Girls a cui siamo stati abituati per sette stagioni. Ma c'è la bellezza del ritorno a casa dopo una lunga assenza. Insomma, il debito emotivo di cui sopra, alla fine, da una possibilità di salvezza a questo revival.
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