Un paio di settimane fa questo blog ha eletto il suo editore del mese di novembre, cioè Iperborea la casa editrice indipendente specializzata in letteratura e cultura nordeuropea. Proprio in quella occasione avevo annunciato il mio proposito di leggere e recensire almeno un libro del ricco catalogo di questa realtà editoriale, e la scelta è caduta su La notte del professor Andersen di Dag Solstad. Pertanto, bando alle ciance ed entriamo nel vivo del libro.
La notte del professor Andersen
di Dag Solstad
Iperborea
Collana: Narrativa
Traduzione: Maria Valeria D'Avino
Pagine: 166
Prezzo: 16€
Data di pubblicazione: giugno 2015
Partiamo da una dovuta premessa che riguarda l'autore di questo testo. Dag Solstad è uno scrittore norvegese particolarmente conosciuto e apprezzato dalla critica nel proprio paese. Tra romanzi, opere per il teatro e racconti è sicuramente uno degli autori più prolifici del panorama norvegese contemporaneo, che però ha stentato (per una serie di ragioni, innanzitutto linguistiche e culturali) a farsi conoscere nel panorama internazionale. Proprio la casa editrice Iperborea ha permesso la fruizione delle sue opere nel nostro paese. Da intellettuale, con un passato di militanza nel partito comunista della propria patria, Dag Solstad inoltre dedica spesso molti suoi libri alla tematica di una ricerca esistenziale e culturale, all'implacabile interrogativo che vede messo in discussione il ruolo stesso dell'intellettuale nella società odierna.
La notte del professor Andersen non si sottrae a questo filone, anzi vi rientra prepotentemente. La trama di per sé è molto semplice: un professore di letteratura, celibe e di mezza età , assiste nolente dalla sua finestra, durante la notte della vigilia di Natale, ad un omicidio. Subito afferra la cornetta del telefono per chiamare le autorità , eppure, inspiegabilmente, ad un certo punto si blocca. Pal Andersen non riesce a denunciare l'omicidio. Ma perché? Cosa succede nella sua mente?
Parecchie sono le spiegazioni che il professore dà a se stesso nel corso del libro, che più che romanzo definirei un racconto lungo, o meglio un atto unico teatrale (non vi è alcuna divisione in capitoli), durante il quale si affacciano vari altri personaggi: alcuni amici e colleghi del professore in particolare, ma soprattutto l'assassino stesso. Sussiste infatti, soprattutto nella prima parte del testo una dimensione dialogica, in cui il protagonista si relaziona con gli altri personaggi praticamente su tutto fuorché su ciò che ha visto la notte di Natale. Ma più si va avanti nella lettura, più si capisce che la dimensione del monologo interiore è quella per eccellenza che anima la vita e i pensieri di Pal Andersen. Il lettore scopre presto che l'incapacità del professore di denunciare l'assassinio e i pensieri che ne seguono sono solo la punta di un iceberg:
Ma non intendeva nascondere il fatto che pensava di vivere in un'epoca squallida. In cui si trovava decisamente male, senza per altro riuscire a immaginare una possibile alternativa. «Perché non siamo intellettuali senza tempo, siamo intellettuali nell'epoca del consumismo, profondamente influenzati da ciò che muove le masse. E quello che muove le masse è la conseguenza della nostra inadeguatezza. Tutto qui. Quando è stata l'ultima volta che ti sei sentito scosso vedendo o leggendo una tragedia greca?»
Pal Andersen mette in discussione tutto della propria vita, in primis il proprio lavoro e vocazione, e il proprio posto all'interno della società . Da qui a mettere in discussione i dettami della società stessa, il passo non è così lungo come si possa pensare. I suoi pensieri si avviluppano così a lungo attorno a questi interrogativi, da generare una sorta di sdoppiamento di personalità nella parte più densa del testo, in cui il professore pone domande alla propria coscienza; che, ovviamente, gli risponde:
«Non mi dire», s'intromise sprezzante, «ma se hai appena ammesso che non saresti riuscito a denunciarlo neppure se avessi saputo che l'omicidio era premeditato. Sarebbe potuto capitare anche a te? - No, no» si rispose. «Non dico che avrei potuto programmare di uccidere a sangue freddo. Ma provo compassione per chi l'ha fatto. Un atto così crudele [...] Per questo desidero che sia libero, che la scampi, perfino che dimentichi tutto, davvero, e comunque non posso collaborare alla sua cattura»
Quale sarà però la decisione ultima del professore, denunciare o non denunciare, credere ancora nella società o non farlo, non ve lo svelo. Fa parte certamente del fascino del libro, anzi ne è forza motrice spesso.
È un testo denso quello di Solstad, certamente reso tale dalla presenza quasi indiscussa di un unico personaggio e dei suoi pensieri (di per sé già particolarmente densi), e dalla mancata suddivisione in sezioni o capitoli. Alle volte la storia forse tende a rallentare in dettagli la cui importanza non è immediatamente colta dal lettore, ai fini dell'economia del testo, ma che nel complesso, risultano essere importanti per capire la psicologia del professore.
Un esperimento certamente interessante, che da un occasionale atto di voyeurismo (che molto ricorda lo spunto dell'hitchcockiano La finestra sul cortile) permette di far esplodere la coscienza non solo di un uomo, ma di un'intera categoria di uomini, forse di un'intera società . La traduzione e riferimenti culturali norvegesi sono inoltre ben curati dalla traduttrice che permette al lettore maggiore familiarità , cosa non sempre scontata data la scarsa conoscenza che da italiani abbiamo di questo paese.
Mi aspettavo di più forse da un autore di tal fama, ma nel complesso sono discretamente soddisfatta e certamente non demorderò e mi concederò altre letture di Dag Solstad.